Recensione libro: La campana di vetro di Sylvya Plath

Buongiorno carissimi liberi e libere . Qui è Luna , la vostra donna d’intelletto, a tenervi compagnia con altri consigli per le vostre letture.

Oggi voglio proporvi un volume passato alla storia come un capolavoro letterario per la tragica vicenda dell’autrice ma in realtà racconta il dramma di tutti, ovvero la fatica di essere noi stessi in una società che ci vuole fedeli al conformismo.

La trama:

Brillante studentessa di provincia vincitrice del soggiorno offerto da una rivista di moda, a New York Esther si sente «come un cavallo da corsa in un mondo senza piste».
Intorno a lei, l’America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta: una vera e propria campana di vetro che nel proteggerla le toglie a poco a poco l’aria. L’alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell’elettroshock.

Fortemente autobiografico, La campana di vetro narra con agghiacciante semplicità le insipienze, le crudeltà incoscienti, gli assurdi tabù che spezzano un’adolescenza presa nell’ingranaggio stritolante della normalità che ignora la poesia. Include sei poesie da “Ariel”.

L’autrice:

Sylvia Plath, nota anche con lo pseudonimo di Victoria Lucas (Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963), è stata una poetessa e scrittrice statunitense. Conosciuta per le sue poesie, scrisse il romanzo semi autobiografico La campana di vetro (The Bell Jar) sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas.

La mia recensione:

Quando mi sono accostata a questa autrice e mi sono documentata sulla sua vita mi sono chiesto quanto abbia sofferto un’anima fragile come lei.

Ne La Campana di vetro, offre una testimonianza semi autobiografica di quella che è stata la sua breve esistenza.

Tutto vero o quasi, ma è comunque difficile romanzare una vicenda come quella di Sylvya Plath.

Qui vengono messi in luce i disturbi mentali e le atroci terapie che i pazienti che ne soffrono sono stati costretti a subire.

L’elettroshock non deve essere stato certo una passeggiata sia per la protagonista che per l’autrice che lo ha vissuto sulla propria pelle.

Quello che turba di più leggendo questo romanzo è come sia facile ricevere lo stigma di una malata mentale.

La società non permette di deviare dalla norma e se senti un disagio, ti senti fragile e spaurito dalle mille possibilità che ti offre la vita non puoi permetterti di esternarlo.

Anche se forse il demone interiore che combatte la protagonista e con cui ha combattuto l’autrice stessa è proprio quella contro il suo genio creativo.

Un dono, quello della scrittura e della poesia che la assorbe e vuole tutte le sue attenzioni. Quindi non stupisce la profonda crisi in cui sprofonda l’alter ego di Sylvya.

Qui la narrazione è una drammatica lotta contro se stessa. Combatte per capire cosa vuole dalla vita , chi è veramente , dal provare sempre a compiacere gli altri e la società che la vuole in un certo modo.

Il dramma che affligge tutte le adolescenti e le donne. Perché ci vogliono figlie , mogli, madri, donne in carriera, con una vita perfetta e spesso questo può soffocare.

Specie un’anima fragile come quella di Sylvya rapita dal suo daimon poetico che era diventato più grande di lei.

Adatto a chi vuole inoltrarsi nello scoprire meglio i disagi interiori e la storia di una donna che rimane sempre viva e attuale attraverso i suoi scritti.